Come la figura mitologica del dio Giano, anche il San Marino Open ha mostrato una doppia faccia: quella entusiasta degli italiani, per le prestazioni, ad inizio settimana, di alcuni propri atleti, su tutti Mangiacotti, che con un personale di 1.427 birilli è stato il migliore del gruppo in qualifica, e quella della folta truppa straniera, che ha dimostrato come il raggiungere quegli score, che ci avevano fatto entusiasmare, fosse, per loro, cosa di incredibile routine. E’ evidente e palese che il “gap” fra il nostro movimento ed il resto d’Europa è ancora ampio: solo 10 atleti, sui 48 totali qualificati, sono nostri connazionali e di questi solo in 4 sono entrati dalla porta principale. Assai ingrato sarebbe, a tal proposito, fare un paragone con la “corazzata” svedese che, invece, di propri rappresentanti ne ha piazzati 16 nella classifica principale, con 4 donne (uniche qualificate), e 2 nelle “porte di servizio”, per un totale di 18 su 48, pari quasi al 40% dei finalisti (una percentuale mantenuta quasi invariata anche negli step di finale: 30% – 46% – 45%). Superfluo sottolineare la pioggia di strike, che ha contraddistinto ogni “squad”, così come il considerevole numero di “300” (una decina circa), che, in alcuni casi, o non è servito a centrare la qualificazione, come per il palermitano Salvatore Polizzotto e il romano Andrea Moro, o, come nel caso dello svedese Markus Jansson, che di “300” ne ha realizzati due, è servito solo per guadagnare una posizione migliore in classifica. Tanti, tantissimi anche gli split, specie in formazione 2-10. Prova lampante che le piste permettevano sì score alti, ma allo stesso tempo erano piene di insidie. In uno scenario, quindi, assai ostile, gli italiani hanno provato a rovinare la festa ai colleghi più quotati, partendo dal primo step. 4 partite secche per ritrovare, guarda caso, sempre gli stessi “moschettieri” avanzare: Pongolini, Fiorentino, Radi e “l’intruso” Celli, intramontabile a dispetto dell’età. Tuttavia, il solo “Pongo” sarà capace di accedere alla fase successiva, quella di prologo alla finale che conta; quella con in campo anche i primi 8 della classifica, fra cui il leader Stuart Williams, che, senza realizzare alcun 300, aveva portato a casa una serie da 1.592 birilli. Ed anche in questa fase, l’inglese l’ha fatta da padrone, chiudendo facile in testa con 1.412 birilli, avanti all’argentino Legnani e al canadese Lavoìe (1.346) e al connazionale Barrett (1.345). Tuttavia Pongo c’è! Come si direbbe nella MotoGp. L’ottavo posto non vale il podio, ma contribuisce a far crescere la consapevolezza di potersela giocare … quasi alla pari. L’atto finale, allora, resta ancora una volta affare “internazionale”. Nella finale a 4, subito out Barrett, che infila sorprendentemente una partita da “amatore”, mentre Williams, di certo non avvantaggiato dal regolamento, capitola nel secondo match, lasciando i riflettori su due giocatori … agli antipodi. Fra Canada (Lavoìe) ed Argentina (Legnani), prevale la prima anche se di misura (697-666). Ed in barba a tutte le statistiche riportate, non ultimo il 50% dei finalisti assoluti (Inghilterra), il titolo vola oltre oceano. Per la serie anche la statistica non è opinione. Mentre è opinione di tutti lo splendido lavoro svolto dall’organizzazione, interna ed esterna. Impeccabile, modello svizzera! Bravi.
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